Amare è proprio compiere un viaggio col proprio cuore nel cuore dell'altro tenendolo dentro di sé e... prendere il largo.
Il cuore, inteso come luogo dello spirito, è come un muscolo e come tale va continuamente allenato. C'è il momento della contrazione, in cui ti fermi, ti freni, e lasci all'altro lo spazio per essere, e il momento dell'abbandono, quello in cui liberamente e senza calcolo del rischio, ma fidandosi, ci si rilassa e nell'altro ci si riversa.
Cosa si scopre? di aver sorprendentemente ritrovato sé stessi.
Lasciarsi andare, prendere sul serio il largo, per tutti i luoghi del non ritorno, è dura e a volte fa paura. Io mi trattengo, trattengo la rabbia un attimo prima che esploda, le parole astiose prima che arrivino a ferire, i giudizi che spezzano i fili delle relazioni, ma quando e come mi dò?
Quando levo questa benedetta ancora che mi tiene ancorata a me, senza mai restituirmi a me stessa, ma quasi affogandomi, anzi, inaridendomi?
Subito. Subito devo farlo se voglio vivere, altrimenti sono una morta che cammina, e in famiglia quante opportunità si aprono per partire!
Erano circa le 14 oggi, e ancora dovevo lavare i piatti. Ho trascorso la mattinata in diocesi per la chiusura del convegno catechistico. Al ritorno, le 12.45 circa, figli e marito mi attendevano per il pranzo. Solo Elisa aveva già mangiato la sua pappa, e Davide stava dormendo seduto sulla stessa sedia del fratello intento a giocare al computer. Terminato il pranzo, Maurizio era in cortile per pulire il tombino ormai incapace di tirare l'acqua piovana per la sporcizia accumulata a causa dei temporali torrenziali degli ultimi giorni, si è aperto un nuovo dissidio fra fratelli.
Oggetto del contendere un gioco elettronico, del quale Lele sembrava essere geloso. Non voleva rendere partecipe del gioco il fratello e, nonostante Davide messo alla prova abbia dato dimostrazione di essere abile al gioco, continuava ad essere trattato come un incapace ("Perché tu non sei veloce come me, ma tanto adesso sbagli"). Poi Davide c'ha preso gusto e non volendo più restituire il gioco a Lele, in una giusta alternanza, si è aperta un'ulteriore vertenza. Lele insofferente ha lanciato le ciabatte nel vuoto e si è ritirato in sala.
Dopo aver insaponato un bicchiere ho tolto i guanti e con tono deciso ho detto a Lele di piantarla coi suoi modi. Poi ho preso Davide, affrontando la sua crisi, perché non potevo lasciare che l'avesse vinta lui. Titubanze varie da parte mia. Lele ha ripreso il gioco, senza ringraziare per il mio intervento, senza interessarsi dei fratelli che, uno dopo l'altro, hanno attaccato con i piagnistei, infastidendosi per di più dei pianti, tanto che si è coperto le orecchie e ha tentato di proseguire il gioco coi piedi.
Per placare Davide gli ho proposto di aiutarmi a lavare i piatti. Il mio cuore si apriva, o si diramava? o si lacerava? o si divideva? avrei potuto approfittare della situazione e divertirmi anch'io ma ero triste dentro. Stavo usando le mie forze per trattenermi dal rivolgere risposte astiose al mio primogenito ed ero preoccupata del possibile allagamento del pavimento dato che la sera avremmo dovuto avere ospiti.
Mi chiedevo, mentre cantavo con Davide "Se sei triste, e ti manca l'allegria... " per placare le urla di Elisa, mentre lavavamo i piatti, come fare in quel momento ad amare i miei figli.
Ho scoperto in me un limite, rimasto non abbattuto, mentre provavo ad abbatterne un secondo. C'è un aspetto della personalità di Emanuele che faccio fatica ad amare, faccio fatica ad accettare, faccio fatica a comprendere. Scopro in lui una corazza che l'imposizione non elimina, ma irrigidisce e fortifica.
Ho lasciato che fosse la famiglia, per quello che è ad educarlo. Il pianto dei più piccoli, mi dicevo, gli impedirà, infastidendolo, di isolarsi, di dar spazio all'egoismo, di rimanere in una pace statica perché senza pungoli per crescere. E poco dopo l'ho visto "rivoltato" aiutar Davide a rimettere i giochi sparsi sul pavimento nell'apposito cesto divertendosi a far canestro.
Davide, col quale ho ripetuto poi l'esperienza più tranquillamente in serata, mi ha offerto la possibilità di rompere un mio schema mentale. L'ordine, la pulizia formale dell'ambiente non poteva essere più importante di mio figlio. Ci si può divertire insieme, e godere immensamente della compagnia reciproca, offrendo ai bambini la possibilità di essere tali. Ho dovuto non pretendere che le cose venissero svolte in modo perfetto, e accettare "il rischio" che amandolo avrei magari dovuto sobbarcarmi l'onere di ripassare il pavimento.
Ho scoperto un dono, il senso pratico di mio figlio, di gran lunga migliore del mio, che sono donna e sono mamma. Prendeva le posate a mucchietti per risciacquarle sotto l'acqua, alcune col manico all'insù, altre col manico all'ingiù per depositarle poi nello scolapiatti, e io... che perdo tempo a metterle tutte nella stessa direzione pronte per l'asciugatura. Davide mi ha insegnato, non volendolo, come ridurre i tempi. Stasera, lavando la telia della pizza, faceva scorrere velocemente le sue manine, sempre sotto l'acqua, per togliere ogni residuo di detersivo. E' proprio bravo e gliel'ho detto, correndo il rischio che ogni volta voglia e chieda di ripetere l'esperienza.
I figli ti trasformano. Oggi, mentre Davide piangeva, Elisa piangeva, Lele si chiudeva a riccio nel suo isolamento risentito, tutte le porte del mio cervello erano aperte a tutte le possibili soluzioni.
Io ho amato? Forse, anzi, sicuramente non in modo perfetto, non come Dio avrebbe amato, ma ho fatto un tentativo.
Ecco, stasera avrei voluto suggerire questo a Emanuele, e l'avrei fatto se non mi fossi scordata e altre intenzioni non mi avessero portato via: chiediti, facendo l'esame di coscienza, se hai amato, se hai saputo voler bene a coloro che hai avuto accanto, perché il resto.... non conta!
E' stata solo una parte di questa lunga giornata, una parte dei sentimenti e delle emozioni vissute, ma una parte che lascio e condivido volentieri su questo diario, perché possa accompagnare tutti in questa notte che porta a domenica.
Buon riposo
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la mamma
sabato 15 maggio 2010
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