A proposito de: "L'eleganza del riccio", grazie cara amica di aver lasciato il tuo commento, perché questo mi dà l'occasione di condividere con tutti i compagni di viaggio alcune riflessioni.
Tu dici che ti ha commossa. Si, alcuni dei risvolti finali, in effetti, non possono che provocare commozione, ma per buona parte della lettura, fino a quando non è entrato nel vivo l'intreccio delle relazioni fra i tre protagonisti principali, ho avuto quasi un unico pensiero. Solo la fede è in grado di dare un senso all'esistenza, un senso che tutta la cultura del mondo non può offrire. Solo la fede dà quella speranza, soprattutto a chi nella vita si trova in condizioni di subalternità, che altrimenti e altrove non si trova. Se io, portinaia di misere origini, sono figlia di Dio, davanti a Lui la mia dignità vale tanto quanto la tua che sei Paperon de Paperoni, il presidente degli Stati Uniti d'America, il Papa o meglio, davanti a Dio tu sei piccolo quanto me.
A me sembra che la cultura non basti a dare risposta alle domande più profonde che da sempre e per sempre stanno nel profondo dell'animo umano: perché esisto, da dove vengo e dove vado?
Mi incuriosiva inoltre il fatto che ognuno di questi personaggi, così chiaramente ritratti nella loro tipologia dall'autrice, trovassero l'immortalità nella bellezza sovente di un'opera d'arte (un dipinto, un film, nella musica classica...). Identificavano l'immortalità con la consacrazione di un'emozione che racchiusa, imprigionata appunto in un'opera d'arte rimane fissa per sempre. Credo chiarisca bene il concetto l'idea di una fotografia. La fotografia fissa per sempre nel tempo, a quel tempo in cui è stata scattata, l'immagine del soggetto ritratto. E' l'idea che regge il "Dorian Gray" di Oscar Wilde per chi l'ha letto. Questa però non è immortalità, ma immobilità. Chi la guarda tocca qualcosa che magari nella realtà non esiste o non esiste più al presente.
L'immortalità in senso cristiano invece è un'altra cosa. E' eternità, certo, ma è eterna vita e la vita è tutt'altro che immobile.
Mi colpivano poi due precisi momenti della vicenda. La domenica pomeriggio che M.me Michelle trascorre nella sala cinematografica in miniatura di Moniseur Ozu, naturalmente in compagnia di quest'ultimo. Quel pomeriggio lei si sorprende di come si senta a proprio agio in compagnia di un'altra persona. "Come quando sono sola" dice più o meno. Trovo interessante l'idea di coppia che emerge. E' come quando ti alzi dal letto al mattino e sai di non essere per niente una buona compagnia, e di avere un'aspetto per nulla piacevole, ma se hai accanto tuo marito, e sai di essere amata in ogni momento per quello che sei, non ti senti in imbarazzo. Può naturalmente verificarsi la stessa, identica cosa anche quando nella coppia c'è semplicemente indifferenza, ma questa è tutta un'altra storia. In quel momento poi, i due sono coinvolti l'uno con l'altra, provano piacere nel fare entrambi la stessa cosa, insieme: guardare un film e gustare un dolce nell'intimità avvolgente di una sala cinematografica per giunta privata.
Mi ha fatto pensare a me e Maurizio, alla coppia formata da Maurizio e me, a come a volte, pur essendo molto forte il collante che ci tiene uniti e che ci fa desiderare di trascorrere del tempo insieme, ci perdiamo nei meandri delle nostre solitudini. Com'è bello invece quando ci sosteniamo e cooperiamo per la realizzazione del pane o la produzione della birra, perché il far qualcosa piacevolmente insieme diventa una straordinaria via all'unità e può donare leggerezza all'esistenza.
Questo porta direttamente alle considerazioni su Paloma, la ragazzina con manie suicide che risolve sé stessa nel momento in cui capisce che la sua "malattia" è l'impedimento stesso a far qualcosa per le persone più care, l'impedimento ad amare che la porta alla convinzione di vivere nel mondo come un pesce nella propria boccia: senza sbocchi, come se tutto fosse già predeterminato.
Decide in quel momento che da grande farà il medico o la scrittrice, paragonando, quasi sovrapponendo le due professioni perché portano alla guarigione del corpo e dell'anima altrui e, di riflesso, anche della propria. Non possa descrivere che effetto possa aver fatto leggere una cosa del genere su qualcuno che, come me, porta da sempre nel cuore un grande desiderio: scrivere.
Un'ultima annotazione, senza svelare niente per coloro che ancora non avessero letto il libro. Sono rimasta delusa dalla conlcusione. Anche in questo caso, neanche la minima ombra del senso cristiano di ciò che è accaduto, e va bé, date le premesse non ci si poteva attendere fosse diverso da com'è stato descritto e vissuto quest'evento. Mi ha delusa però soprattutto perché l'ho vissuta non come una naturale conclusione dell'intera vicenda, ma come una troncatura, anche piuttosto maldestra.
A me sarebbe piaciuto per esempio vedere come i protagonisti sarebbero riusciti a superare le convenzioni sociali, la divisione netta delle classi sociali, se fra loro fosse nata una relazione sentimentale, se anche solo l'amicizia fra loro fosse proseguita, ma mi devo accontentare di ciò che ho avuto.
Credo non ci sia più spazio ormai, per stasera, per raccontare della nostra famiglia, anche se nei due giorni di assenza non è certo mancato materiale col quale riempire il giornale. Lele e Davide hanno avuto qualche linea di febbre, e Davide anche una brutta otite che mi ha costretta a somministrargli l'antibiotico. Ieri, nonostante un buonissimo inizio di giornata, quello che sembrava un sogno (bambini che non litigavano e cose così) si è presto trasformato in un brutto incubo. La salvezza però, dopo essermi trovata un'ennesima volta a gestire da sola tre allarmi che strillavano contemporaneamente, è arrivata. La storia è sempre quella: o sopravvivo o soccombo, e questa volta sono sopravvissuta. Chissà poi dov'è, su questo vascello, il gancio dove tengo il salvagente!
Oggi marmellata di pere, avrei fatto anche un dolce ma non c'è stato tempo.
Domani pomeriggio complicato. Adesso... buona notte naviganti e un abbraccio a tutti.
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la mamma
sabato 13 novembre 2010
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